Il cammino sin qui fatto ha permesso di mettere in evidenza, con alcuni esempi importanti, due piani profondamente diversi che emergono dalle letture dei testi sacri (nel nostro caso i vangeli, ma la logica può essere estesa ad altri testi sacri). E cioé il piano degli insegnamenti universali (l’orizzonte dei valori) e il piano delle credenze sorte nell’ambito dei seguaci di Gesù, tramandate dapprima oralmente, poi scritte in un lasso di tempo di svariati decenni dopo la sua morte (per gli apocrifi la distanza dalla morte sale anche a due secoli). I due piani non vanno mai confusi e, per quanto riguarda l’esegesi, è necessario un ulteriore approfondimento.
1. Sull’esegesi
In campo cristiano, la ricerca storica si occupa di Gesù da quasi tre secoli e l’esegesi, che definirei come un vaglio che deve separare il messaggio perenne dalle scorie culturali e mitologiche del tempo in cui i testi furono scritti, da quasi altrettanto. E’ evidente che dal momento in cui si assume , giustamente, il criterio del vaglio esegetico, nulla può più essere preso alla lettera di quanto leggiamo nei testi. Il dubbio che un miracolo, un fatto narrato, un detto riportato siano realmente avvenuti è doveroso. E, su questa china, l’alea del dubbio si estende, giustamente, su tutto quanto riportato perché l’esegesi, per quanto spinta e accurata, non riuscirà mai a mettere un “timbro” di autenticità storica su quasi nulla. Anche se, naturalmente, vi sono delle doverose distinzioni e l’esperto saprà dire, oggi, e ancor più domani, ciò che ha certamente attendibilità storica, ciò che ha una plausibilità storica, ciò che è probabilmente costruzione delle prime comunità e ciò che è sicuramente leggenda.
Ma la persona comune, alla ricerca dell’insondabile e di qualcosa che lo trascende; la persona comune alla ricerca della fede non può essere chiamata a vagliare, come lo studioso, ciò che è attendibile da ciò che non lo è. Non si rischia, a forza di “interpretare” e “relativizzare” tutto (per usare un termine alla moda) alla ricerca del “vero” di “perdere” la fede?
Insomma torniamo alla domanda iniziale: brancoliamo nel buio? E’ istruttiva in proposito la domanda che si pone Kung nel suo Essere cristiani, (Mondadori, 1976): “Che cosa vale per Gesù?”, e cioè che cosa deve fare chi vuole porsi alla sua sequela?:
“ Norma suprema non è una legge morale di ordine naturale….Non è imputabile a una carenza di riflessione teologica il fatto che Gesù non muova, per legittimare i suoi precetti, da una natura immutabile, che si presume riconoscibile con sicurezza e in cui tutti gli uomini si ritroverebbero accomunati. L’attenzione di Gesù è rivolta non a natura umana astratta, ma al singolo uomo concreto. …..(Gesù) non pensa di derivare da eventuali strutture costanti e immutabili di una siffatta natura umana leggi fondamentali dell’agire, immutabili e universalmente valide: principi primi, da cui si possano poi dedurre, più o meno direttamente, altri principi, in modo che tutti insieme forniscano una risposta univoca per ogni possibile caso di teologia morale (in materia di proprietà privata, famiglia, stato, sessualità, divorzio, pena di morte…..)”
E potremmo aggiungere, oggi, in materia di fecondazione assistita, clonazione, eutanasia….
L’orizzonte di valori, quello sì rimane immutabile e perenne. Ma tale orizzonte esce dal vicolo cieco, per altri versi estremamente meritorio, delle interpretazioni esegetiche. La fede, per chi la sperimenta, non è una interpretazione; la fede è un incontro.
Personalmente mi sembra che il prius, il fondamento(della fede) non è la resurrezione di Gesù, ma l’esistenza di un Dio padre e amore che questo può aver permesso per l’eternità. Se si assume questa ottica diventa poi facile dire, come già visto con Ghandi, che il tronco della religione è uno ma i rami, le varie religioni, sono tante e sono dettate dalle condizioni storiche, ambientali e anche climatiche. Potremmo e vorremo quindi associarci a quanto dice Panikkar (Tra Dio e il Cosmo, Laterza, 2006):
“Sono, pertanto assolutamente convinto che il Cristo può essere considerato come il simbolo – cioè la ricapitolazione o il riassunto – di tutta la realtà. Ma anche il Buddha lo è, e altri ancora.”
7/01/2008
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