Ragionamenti non dissimili si possono fare su altre religioni. Nel suo ponderoso volume sull’Islam (Hans Kung, Islam, passato presente e futuro, Rizzoli, 2005), il grande teologo traccia un’accurata ricostruzione storico-teologica di questa importante religione monoteista che pone a suo fondamento, in comune con l’ebraismo e il cristianesimo, la figura di Abramo.
Oltre un certo approfondimento di conoscenza rispetto alle reminiscenza scolastiche (che non andavano più in là della fuga a Medina del Profeta Maometto, l’Egira del 622 dopo Cristo), la lettura del testo mi ha suscitato due riflessioni di fondo. La prima riguarda la storia dell’islam, una religione che ha riunito le tribù arabe che, superata la fase tribale, hanno diffuso col filo della spada la parola del Profeta dando origine a un impero che si estendeva dalla Spagna ai confini con l’Iran. In altre parole, una storia di massacri intestini e conquiste violente a spese degli “infedeli” anche se, una volta ottenuta una conquista, gli islamici hanno spesso governato con tolleranza. Questa prima riflessione ne ha suscitato una di riflesso circa il campo cristiano: a parte la fase delle origini, non è forse altrettanto vero che l’Europa si è massacrata per secoli in guerre di religione con i vincitori che dichiaravano eretici i perdenti?
La seconda riflessione riguarda il giudizio circa la situazione attuale dell’Islam. Il teologo afferma ciò che appare evidente a tanti e cioè che l’Islam è rimasto fermo al “paradigma” medioevale (anche se lo dice da par suo con un’inoppugnabile documentazione e senza spirito di polemica, anzi con grande spirito di dialogo). Non so se in campo islamico sia davvero cominciata quella fase di riflessione esegetica dei testi che, da più di due secoli, ha permesso al cristianesimo di evolversi, sia pure con grandi resistenze, dal paradigma medioevale al paradigma dell’era moderna. Certo è che il fondamentalismo islamico assomiglia tremendamente all’atteggiamento della chiesa che suo tempo metteva al rogo chi usciva dal seminato.
Non mi risulta che il testo di Kung, certamente noto ai teologi islamici, abbia suscitato le riprovazioni che è stato capace di sollevare Benedetto XVI all’Università di Ratisbona con una lezione nella quale, in fondo, sollevava problemi analoghi a quelli del teologo. Verrebbe da sottolineare che chi ha certe responsabilità non può permettersi di dire ciò che pensa l’uomo comune o, per altri versi, il teologo letto dai suoi pari.
Infine, una terza riflessione sulla figure dei due fondatori: Gesù e Maometto. La figura di Gesù mi appare, fondamentalmente, la figura di un mite anche se capace di durezze nei confronti dei custodi del Tempio. Grande e ineguagliabile mi appare la sua libertà di fronte ai poteri del mondo. Di infinita misericordia il suo atteggiamento nei confronti delle debolezze umane e l’orizzonte di valori da lui tracciato, e di cui abbiamo parlato, indelebile e perenne nel tempo. Molto diversa la figura di Maometto:dopo la fuga dalla Mecca alla Medina diventa in poco tempo il capo indiscusso religioso, politico e militare. Un guerriero dunque e poco importa stabilire se Maometto stesso abbia ucciso qualcuno; quello che è certo è che, come capo politico, è responsabile della lotta e sterminio di fazioni avverse (ebrei e altri) che si opponevano ai suoi disegni.
Ma possiamo escludere che se il Dio dell’antico testamento (quel dio “geloso” del suo popolo al quale ha permesso lo sterminio di avversari per la conquista della Terra Promessa”), ha parlato a Israele in quel certo modo, lo stesso Dio non possa aver parlato ai beduini tramite Maometto? Allora forse vale quanto detto all’inizio citando Ghandi: che le religioni, nella loro accezione storica, sono date da Dio in un certo modo necessario per quel popolo in quelle date condizioni.
12/01/2008
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