L’impostazione di cui sopra è degna di grande rispetto e premessa necessaria per un vero dialogo con credenti o non credenti. E se dà una risposta su cosa sia la fede, tuttavia non dà ancora una risposta sul come si possa capire se si ha fede o no. In altre parole, esistono, per così dire, uno o più “indicatori” che possano dire se si ha fede oppure no? Uno di questi indicatori mi sembra di averlo trovato tra le righe dello stesso teologo (Raimon Panikkar, La porta stretta della conoscenza. Sensi, ragione e fede, Rizzoli, 2005):
“ …secondo la tradizione cristiana il fatto fisico della resurrezione è centrale nella fede dei cristiani. Dovrebbe essere evidente che la fede nella resurrezione non può essere ridotta all’accettazione della credenza dei primi discepoli che va interpretata come un’esperienza soggettiva che liberò un’energia psichica tale da convertirli in fondatori di ciò che poi si chiamerà “cristianesimo”. L’intero edificio cristiano non può poggiare sulla soggettività di alcuni discepoli, per quanto intensa e sincera possa essere stata la loro esperienza…. la fede deve essere personale e dunque immediata come ogni esperienza esistenziale: non si può accontentare di essere “fede” nella fede di altri, fiducia nella testimonianza di alcuni privilegiati…
…....per esperienza esistenziale si intende la coscienza che tale esperienza trasforma la nostra vita. .…la fede nella resurrezione di Gesù crede nella resurrezione fisica, vale a dire reale, di Gesù di Nazaret; ma se non è accompagnata da un’esperienza personale, non è fede, bensì semplice accettazione di un fatto incomprensibile e praticamente assurdo alla luce della razionalità .
Ecco dunque un punto che mi sembra rilevante e rivelante: la fede come esperienza esistenziale personale e tale da trasformare la nostra vita. Naturalmente il confronto continuo con una comunità di fede non solo non è escluso ma è necessario (“..là dove due o tre saranno riuniti nel mio nome io sarò presente...”). E tuttavia sono giunto alla conclusione che la fede non può non essere un fatto personale che sconvolge (in positivo) e cambia la vita.
In termini di immagine penso che la fede sia come una fiamma che riluce nel buio: più grande la fiamma più grande la fede. Vi deve essere almeno un minimo di riverbero di questa fiamma nel fondo dell’animo che sia in grado di illuminare e dare un senso anche ai momenti più bui e difficili della vita. Sia pure in modo fioco e lontano dobbiamo sentire nel profondo il calore di questa fiamma che dice che tutto ha un senso, anche se non lo capiamo, e che ogni lacrima sarà asciugata, anche se soffriamo.
Se dentro di noi non sentiamo neanche un po’ di tutto questo allora non c’è fede.
18/01/2008
In termini di immagine penso che la fede sia come una fiamma che riluce nel buio: più grande la fiamma più grande la fede. Vi deve essere almeno un minimo di riverbero di questa fiamma nel fondo dell’animo che sia in grado di illuminare e dare un senso anche ai momenti più bui e difficili della vita. Sia pure in modo fioco e lontano dobbiamo sentire nel profondo il calore di questa fiamma che dice che tutto ha un senso, anche se non lo capiamo, e che ogni lacrima sarà asciugata, anche se soffriamo.
Se dentro di noi non sentiamo neanche un po’ di tutto questo allora non c’è fede.
18/01/2008
1 commento:
Caro Mauro,
rimandando per ora una valutazione complessiva su tutto il testo (bello, chiaro e stimolante) mi preme commentare questa sezione VI-2: La fede come fatto personale.
Nonostante la mia grande considerazione per Panikkar, che mi ha illuminato su molti aspetti del nostro modo di essere cristiani, non sono d'accordo con lui quando dice "L'intero edificio cristiano non può poggiare sulla SOGGETTIVITA' di alcuni discepoli...non ci si può accontentare di avere fede nella fede di altri, fiducia nella testimonianza di alcuni privilegiati..." L'esperienza del Criso risorto non è stata solo soggettiva, ma anche e soprattutto COLLETTIVA: tutti loro hanno mangiato con Lui, tutti lo hanno visto, e Tommaso non ha avuto bisogno di toccarlo e di mettere la sua mano nel costato per DOVER esclamare Mio Signore e mio Dio: tale ammissione, che scardina e capovolge tutte le categorie culturali e religiose di un ebreo osservante, identificando l'uomo Gesù con Dio stesso, non può che basarsi su un'esperienza sconvolgente ed incredibile, certo personale, ma condivisa nello stesso momento da tutti gli altri.
Kung dice che non si tratta di un resuscitamento del corpo, ma dell'assunzione di Gesù in una realtà diversa. Sulla base della testimonianza dei Vangeli si tratta per me di entrambe le cose:
le due realtà, quella fisica, del corpo, e quella "diversa", trascendente, indicibile, che a noi non è dato neanche immaginare,
sono compenetrate e compresenti nel Cristo Risorto (e forse anche nelle nostre esistenze: lo stesso Panikkar fa notare che "l'eternità è l'altra faccia della temporalità".
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